24/10/2021 Troi de sant’Antoni (Longarone)

Distanza totale: 9,1 Km (2,8↑ 4,4↓ 1,9↔)
Altitudine massima: 1.281 m
Altitudine minima: 870 m
Dislivello assoluto: 411 m
Totale salita: 575 m
Totale discesa: 550 m
Tempo totale: 6h (soste incluse)
Presenti: Antonio, Maddalena, Beatrice, Cippe, Simone.

Era da qualche anno che avevo individuato questo percorso letto su un libretto di Giuliano Dal Mas dedicato alle dolomiti Bellunesi, propongo quindi questo giro anche perché sono ansioso di vedere con i miei occhi la diga del Vajont, luogo di un’indimenticabile tragedia. Partiamo alle 7 circa, usciamo a Longarone e saliamo sulla provinciale 251 fino alla zona industriale di Frasein dove a sinistra parte la stradina che sale fino a Casso.

Casso. Quota 950 mt.
Parcheggiamo all’ingresso del paese, un altro parcheggio si trova alla fine dello stesso nei pressi del cimitero. Proprio mentre ci prepariamo apre il bar K2 sito in piazza dei Nogher e quindi ne approfittiamo per un caffè. La nostra camminata inzia proprio attraversando il paese con le sue tipiche case in pietra, anche se qualcuno ha restaurato senza rispettare questa caratteristica, e la cosa balza subito all’occhio. Lungo le viette del piccolo paesino già si trovano le indicazioni per il Troi De Sant’Antoni, nonché sentiero numero 380. Attraversato il paese nella sua parte terminale si trova il cimitero da cui si snoda il sentiero che in questa prima sua parte è in leggera discesa e costeggia i versanti sud ed ovest del monte Pul (1.235 mt). Si cammina su ampi spazi prativi che permettono buone visuali sulla valle del Vajont dove nubi basse nascondono in parte gli effetti della frana. Davanti a noi il foliage impreziosito dalla luna che sta tramontando inzia a dare il suo spettacolo, dopo qualche centinaio di metri percorsi fiancheggiando il muretto a secco che delimita il sentiero ecco finalmente la diga. La cosa che più mi sorprende è la mancanza di acqua, non ce n’è, non so perché ma nel mio immaginario mi aspettavo ci fosse invece nulla, solo rocce, sassi, terra polvere e la natura che sta riprendendo il suo spazio. Poco più avanti una intensa macchia di colore invita a fare una pausa per ammirare il panorama sulla valle della Piave con vista su Ponte nelle Alpi. Dopo circa un chilometro (1.17 km, 919 m, 30′) tralasciamao sulla sinistra il sentiero che scende alla diga, tabelle con indicazioni, e proseguiamo dritti. La visuale ora si apre sulla vallata della Piave, ancora all’ombra, fa frescolino soprattutto se si rimane fermi. Il ripido versante del monte Pul mette in mostra i suoi colori, alla nostra sinistra di sotto ora si vede Longarone, mentre di fronte il Pelf e la Schiara mostrano i loro apici. Il sentiero continua a scendere, anche se dolcemente, ma scende, ci fanno da guida anche i cavi della corrente ed i piloni di acciaio che deturpano non poco l’ambiente. Ad un certo punto sulla destra non mi sfugge un cartello con l’indicazione per il Troi dei Sambughi (non ho fatto la foto e non sono riuscito a prendere il punto con il gps) che dovremmo seguire, ma il sentiero è piuttosto selvaggio, evidentemente poco frequentato, preferiamo proseguire sul 380. Siamo a quota 820 circa, quindi abbiamo perso più di 100 metri di dislivello, e percorso circa 1,7 km in 45′. Poco dopo il cartello si trova il capitello di sant’Antonio, piuttosto malconcio, situato a ridosso della parete di roccia, e poco più avanti una piccola grotta con una statua della Madonna, credo molto più recente. Il sentiero prosegue sotto un fitto bosco di faggi e su una morbida coltre di foglie scendendo ancora leggermente sotto la soglia degli 800 metri e raggiungedo il punto più basso in corrispondenza dell’ultimo tornante della statale percorsa per raggiungere Casso che si può intravedere attraverso la boscaglia. Cartello con indicazioni per Codissago (2.35 km, 822 m, 1h). Qui termina il Troi de Sant’Antoni (1h), proseguiamo dritti sul 395A. Attraversato il ruscello in secca Ga de Malon, il sentiero si inerpica sul alcune roccette e riprende finalmente a salire alternando tratti aperti e colorati ad ombrosi e panoramici. Altro cartello con le indicazioni per il Troi dei Sambughi (2.6 km, 870 mt, 1h 14′) che in sostanza scorre parallelo a quello da noi percorso ma ad una quota più alta. Un altro cartello ci indica che siamo giunti in località Sedesela, quota 900 metri, ci accoglie una prima casera avvolta da fronde di faggio tendenti al giallo, e poco più avanti altre due casere con ampi spazi prativi antistanti e coloratissimi faggi che inziano finalmente a godere del calore dei primi raggi di sole che anche noi stiamo aspettando (3.1 km, 909 m, 1h 30′). Il sentiero offre adesso una parte spettacolare nella quale bianche pareti rocciose mettono ancora più in risalto il verde brillante dei faggi, vi sono anche alcuni ruderi e ad un certo punto la roccia si presta anche come riparo sempre all’ombra dei faggi a tratti verdi a tratti gialli. Si raggiunge un ampio e maestoso anfiteatro roccioso (3.6 km, 933 m, 1h 50′) che consente di sbirciare verso le cime del Sassolungo di Cibiana e del Sasso di Bosconero. Subito dopo troviamo un altro manufatto in sassi, ben messo e costruito proprio sotto la roccia, evidentemente utilizzato come stalla per le bestie come si può dedurre dal suo interno, questi boschi alcuni decenni fa non c’erano al loro posto invece tanti pascoli. Più avanti ancora altri ruderi, poi si raggiunge località casera Smei a quota 920 metri, dove si trova un bivio, a destra si sale verso casera Brighella, quella con il crocefisso di ferro sulla facciata che noi appunto non abbiamo trovato perché  abbiamo proseguito dritti superando i ruderi di casera Smei e raggiungendo Casera Dogarei (970 mt,  4.1 km, 2h 15′) dove termina il 395a. Ora il sentiero diventa il 395 che sale da Codissago e porta fino al Col de Gnele o delle Agnelle (1704). A casera Dogarei maestosi faggi accesi dal sole sembrano illuminare i prati circostanti, all’orizzonte spuntano ancora il Bosconero, la Toanella ed appena appena le punte degli Sfornioi che sembrano spiarci. La casera è per metà chiusa e per metà aperta e fruibile con tanto di stufa economica ed un tavolo, la zona notte di sopra non è accessibile. Il sentiero prosegue in salita proprio dietro la casera, una volta in mezzo al bosco i segni diventano in alcuni tratti labili occorre fare attenzione. Si raggiunge località Cioppa (1000 mt), il cartello è ancora parzialmente attaccato all’abete che lo sosteneva probabilmente steso dalla tempesta Vaia. Raggiungiamo e passiamo località Pont (1150 mt) lungo un sentiero che scorre sotto roccia e successivamente attraversa un bosco di faggi e poi di abeti dove una tabella ci indica che siamo giunti in località Pian Malattia (4.75 km, 1200 m, 2h 48′). Si risale ora il bosco cercando segni ed ometti fino a raggiungere un salto di roccia che si percorre su una piccola cengia con la paretina alla nostra sinistra, bellissimo anche se breve passaggio. All’improvviso sulla mia destra una figura attira la mia attenzione, un piccolo elefantino dalla pelle di corteccia e muschio barrisce inneggiando ai caldi colori dell’autunno, forse lo vedo solo io. Raggiungiamo infine su buon sentiero località casera Pian dei Sass.

Casera pian dei Sass (5 km, 1225 mt, 3h).
Qui sinceramente ci perdiamo nel senso che cerchiamo invano una casera descritta nella relazione che non riusciamo a trovare, o forse proprio non esiste, ma visto il nome della località davamo per scontato di trovarla qui. Ad ogni modo dopo qualche ricerca decidiamo di prendere il sentiero 394 (5.2 km, 1250 m, 3h 15′) che riconduce a Casso con la speranza di trovare uno spiazzo al sole dove mangiare, per questo eravamo alla ricerca della casera. Il 394 sale leggermente fino a raggiungere la quota massima poco sotto i 1300 metri, ma sempre immerso nel bosco di faggi, poi finalmente troviamo uno squarcio dove il sole potrà farci compagnia riscaldandoci mentre cerchiamo di zittire i brontolii della pancia che da un po’ ormai pretende il suo contributo. Riprendiamo il cammino in leggera discesa sempre nel fitto bosco di faggi, fino a raggiungere un secondo canalone il Cadenara o Ga de Nare (6.23 km, 1770 m, 4h 53′) attraversato anche all’andata ma più sotto. Bellissimi torrioni illuminati dal sole e colorati dall’autunno delinenano l’orrizzonte verso l’alto, mentre di sotto si intravede la vallata della Piave, gli unici all’ombra siamo noi. L’attraversamento del Cadenare è un po’ ostico credo a causa di un cedimento della sponda di risalita, tra l’altro molto scivolosa, che costringe ad inventarsi il percorso cercando appigli nelle poche piante presenti. Si torna nel bosco tagliando il ripido versante con alcuni tratti un po’ franosi in cui occorre procedere con attenzione e si raggiunge quindi località Cava di Cepe (6.2 km, 1192 mt, 5h 5′). La cava è in realtà invisibile fino a che non si arriva in prossimità della stessa dove importanti ruderi testimoniano l’attività di un tempo. Sotto il sentiero appaiono i silos di caricamento del materiale, la pozzolana, in alto invece i fori sulla montagna da cui si estraeva il materiale. Il posto merita una breve sosta per visitare la cava, di fronte inoltre il panorama lascia ampi scorci verso il gruppo del Bosconero e la valle della Piave. Si prosegue sempre sul 394, superiamo località Plans (1060 mt) poi il bosco dapprima diventa più luminoso con alcuni squarci che lasciano intravedere l’azzurro di una splendida giornata poi scompare del tutto e di netto, proprio qui appena uscito dall’ombra mi volto quasi richiamato dagli spettacolari colori autunnali, mentre davanti l’ampio sentiero accompagnato dalla mulattiera ci conduce verso Casso con il monte Certen (1883) a fare da sfondo, sulla destra sono di nuovo visibili la cicatrice lasciata dalla frana del monte Toc e la valle della Piave, pochi passi e siamo di nuovo a Casso.

Casso (9 km, 950 mt, 6h soste incluse).
Prima di rientrare a casa decidiamo di fare due soste.

Sosta 1
Tappa alla diga, prima nel parcheggio sottostante e poi in quello più sopra a poche centinaia di metri dal precedente, siamo proprio sopra la frana, mi vien da camminare in punta di piedi, con circospezione, non so se per paura o per rispetto. Da questa posizione è impressionante guardare la parete sotto Casso, dove ora c’è una palestra di roccia, che l’onda dell’acqua ha superato fino a lambire il paese. Sembra impossibile.

Sosta 2
Altra tappa al cimitero di Longarone dedicato alle vittime del Vajont, molto interessante. Diverse foto ricostruiscono la tragedia di allora, numerosi i reperti alcuni molto particolari. Mi hanno colpito due cose, la foto di Longarone prima e dopo la tragedia, sembra che un programma di grafica sia passato con la cancellina sopra il paese. Poi questo reperto, una Fiat 500 Topolino ritrovata nel 2010 nella valle del Vajont quindi a monte della diga, non è tanto il groviglio di ferro che mi impressiona, ma, come descrive la didascalia, il fatto che il metallo mancante è stato come strappato, giusto per capire l’imponenza delle forze in gioco durante l’accaduto.

Tutto ciò mi emoziona, mi fa pensare, mi intristisce, quello che continua a tormentarmi è come può essere successa una cosa del genere visto che si sapeva, tutto era previsto tanto che le zone situate sopra il versante franato sono state evacuate il giorno stesso.

Grazie a tutti i partecipanti per la compagnia, bravi tutti ed alla prossima.

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